GLI UOMINI DELLA RSI: EDOARDO SALA  


RICORDO DEL COMANDANTE EDOARDO SALA
Nino Arena
 
 
    Era, da sempre, il Comandante. Una definizione gerarchica tutta nostra, non presente nella terminologia militare dell'esercito, se non per conferire l'autorità a qualcuno che comanda, non importa a che livello d'importanza. Per noi, che lo battezzammo così nel dopoguerra, fu e rimarrà per sempre il Comandante. In guerra comandò il I° reggimento Arditi Paracadutisti della RSI e il titolo quindi gli spetta di diritto, soprattutto quando gli furono restituite le decorazioni conquistate sul campo di battaglia in Spagna e in Italia, meritate al prezzo di 4 ferite e due promozioni per meriti di guerra.
    Era nato a Sulina, nel delta del Danubio, un piccolo paese da me visitato ai tempi di Ceausescu, dove il padre era funzionario della compagnia internazionale di navigazione sul Danubio. Frequentò le scuole medie in Romania, l'università a Roma, fu sottotenente degli Alpini e partecipò da volontario alla guerra civile spagnola nelle «Freccie nere» guadagnandosi le prime ferite e decorazioni, passò infine nel servizio attivo in SPE. Nel giugno 1940 andò sulle Alpi col 17° Fanteria «Acqui» (per un singolare caso del destino terminerà la guerra dove l'aveva iniziata) e dopo una breve permanenza in Albania, nel novembre 1940 fu trasferito alla scuola paracadutisti di Tarquinia dove ottenne il brevetto nel marzo 1941 e quindi l'assegnazione al 3° Btg. (Ten. Col. Valerio Pignatelli Cerchiara, poi Ten. Col. Guido Lusena).
    Nel 1942 col grado di capitano assume il comando del 3° Btg., staccato dalla Folgore e inserito nella costituendo Nembo; impresse al reparto una impronta che molti ancora ricordano. Nella primavera del 1943 il 3° va in Venezia Giulia a svolgere una difficile attività, in un ambiente, come quello goriziano, pericoloso ed infido, poi, nel mese di luglio, l'intero 185° Nembo viene inviato in Sicilia, quando la situazione era ormai compromessa e i migliori reparti erano già stati allontanati da Roma per facilitare il colpo di stato del 25 luglio. In Sicilia ci furono morti e feriti, altri morirono a Messina vittime dei bombardamenti, altri ancora caddero il mattino dell'8 settembre in Calabria combattendo contro i canadesi, ad armistizio già firmato.
    Sala comprese subito che non si trattava soltanto di una resa ma di un vero e proprio passaggio al nemico, oltre che della violazione del trattato di alleanza con la Germania. Reagì, come reagirono tanti altri combattenti; quella notte il suo cuore di soldato leale e valoroso fu sconvolto dal dolore della guerra perduta in un modo così mortificante. Tentò più volte, senza riuscirci, di rintracciare i suoi superiori, poi espresse per iscritto il suo stato d'animo, annunciando che non accettava l'armistizio e il tradimento e che avrebbe continuato a combattere «per l'onore d'Italia». Una semplice ma significativa frase che sarebbe divenuta tessera di riconoscimento per tutti i combattimenti della RSI; una frase suffragata visivamente da un nastro nero col bordo tricolore, che i paracadutisti del 3° Btg. Nembo portarono da quel giorno sul braccio: il lutto della Patria e l'impegno per il suo riscatto. Quella sera Edoardo Sala si schierava con i granatieri della 29a Panzer e si portava a Salerno contro gli alleati appena sbarcati. Singolarmente, ad alcune centinaia di km di distanza, in Sardegna, un altro comandante di paracadutisti - il maggiore Mario Rizzatti - rifiutava l'armistizio e passava in Corsica con i granatieri della divisione. Due episodi analoghi, nati da una identica situazione e finalizzati ad un medesimo scopo: combattere "Per l'Onore d'Italia".
    A Salerno si ebbero i primi caduti, poi il 3° Btg. si aggregò alla "Gustav", infine, sul litorale laziale, Sala arruolò centinaia di volontari, fra i quali lo scrivente, poi confluiti nel reggimento Folgore. Quando nella tragica e gloriosa giornata del 4 giugno 1944 a Castel di Decima morì Rizzatti, egli non esitò a prendere il comando del battaglione, portandolo vittoriosamente al contrattacco, arrestando il tracotante inglese, intenzionato ad occupare Roma dal sud e ribaltando una situazione tattica ormai disperata. Un atto di valore che gli valse l'assegnazione di una quarta medaglia d'argento ed una eroce di ferro, oltre che la promozione a maggiore.
    Dopo la ricostituzione del Folgore, ne ebbe il comando a soli 31 anni di età. Risolse con la serietà e la serena consapevolezza del soldato di professione la difficile problematica della guerra civile che aveva coinvolto anche i paracadutisti, meritando la fiducia della popolazione, come attestano le lettere delle autorità civili e risolvendo con intelligenza e umanità i problemi della gente terrorizzata dai banditi che la taglieggiavano.
    Poi il Folgore fu chiamato ad operare sulle Alpi, inserito nell'Armata "Liguria" del maresciallo Graziani e combattè sul Monginevro, sul Moncenisio, sul Piccolo San Bernardo, riscuotendo l'ammirazione dei comandi germanici e il rispetto dei francesi, anche se poi costoro trovarono sbarrate proprio dal Folgore le strade della Val d'Aosta, fino all'arrivo delle truppe USA. Ad Aosta, il Folgore attuò misure di sicurezza e protezione per la popolazione civile, garantì l'afflusso dei viveri e poi si ritirò a Saint Vincent, rifiutando di arrendersi ai partigiani, conforme alla regola: «Il Folgore non cede le armi» emersa la prima volta il 6 novembre 1942 a Gebel Kalach e ribadita dai paracadutisti di Sala il 4 maggio 1945 con l'ammirato consenso degli alleati che presentarono loro le armi.
    Seguirono i giorni tristi e avvilenti di Coltano e Laterina, le torture fisiche e morali dell'occupante, gli assassinii, i processi faziosi, le condanne inflitte dagli antifascisti ai vinti. Sempre il Comandante Sala si addossò le "colpe" dei suoi soldati. In quegli anni bui Edoardo Sala e i paracadutisti condannati al carcere sopportarono con grande dignità le accuse più inverosimili, inventate di sana pianta dalla parte politica avversa e anche nelle patrie galere il Comandante ebbe la forza di incoraggiare i più deboli e di suggerire a quelli rimasti in libertà il modo di recuperare i Caduti sui campi di battaglia, per dar loro sepoltura in terra consacrata.
    In carcere Edoardo Sala trovò anche il tempo di scrivere belle poesie, dedicandole ai suoi cari, ai ragazzi caduti, all'Italia: «... come angeli vi penso, discesi un attimo e scomparsi, lasciandoci meravigliati e soli» e perfino di costituire una catena della fraternità, per soccorrere i più poveri, rinnovando così lo spirito di corpo che ancora persiste nel nostro ambiente.
    Uscito di prigione nel 1951, riprese a vivere, vendendo libri, girando con la Vespa, poi con una vecchia seicento. Ottenuto in seguito un incarico direttivo offrì un lavoro a numerosi paracadutisti. Divenne punto di riferimento, il faro luminoso del nostro riscatto, una fonte inesauribile di preziosi consigli. Mai ho ascoltato dalle sue labbra recriminazioni e offese contro terzi, anche se qualcuno lo deludeva. In lui la signorilità del comportamento era la nota più singolare e ammirevole. Dal Comandante Edoardo Sala ho imparato molto e gli sono grato per quanto mi ha insegnato. Nel 1959 lo invitammo ad entrare nella nostra associazione d'arma; esitò un attimo, poi ruppe ogni indugio e divenne presidente della sezione di Roma che, ai suoi ordini, compì meravigliosi progressi. A datare dal 1960 e per oltre un trentennio divenni il suo più assiduo collaboratore, insieme iiìaugurammo una feconda stagione di iniziative, valorizzando le vicende storiche del «Folgore», volutamente emarginate dalla nomenklatura ufficiale, insieme fondammo un giornaletto «Fune di vincolo» di cui divenni direttore responsabile, insieme trovammo appoggio morale nel generale Frattini, Presidente Nazionale ANPDI, uomo valoroso e di grandi vedute.
    Questi volle onorare con una sua prefazione un numero speciale sul paracadutismo italiano, che coinvolgeva tutti i reparti del nord e del sud, prima e dopo l'armistizio, aprendo per la prima volta la strada della riconciliazione fra i reduci. Il ghiaccio era rotto, il settarismo sconfitto, l'emarginazione un penoso ricordo: amicizia fraterna fra la Folgore di El Alamein e il Folgore di Anzio/Nettuno, Roma e Alpi occidentali.
    Infine, affrontammo il lavoro più impegnativo: un libro sulla storia del Rgt. Paracadutisti Folgore della RSI, documentata, completa, definitiva. Mi impegnai a fondo, trovammo oltre 500 documenti originali, promuovemmo una sottoscrizione per affrontare le spese con un appello del Comandante. Fu un miracolo di adesioni e solidale partecipazione: "Per l'Onore d'Italia" divenne una realtà, un'opera ben presto esaurita e oggi ristampata con più ricca documentazione storica e migliore veste tipografica.
    Edoardo Sala scrisse un libretto con i discorsi commemorativi dei raduni organizzati in oltre 30 anni; consegnò ai ragazzi il «congedo», cioè un simbolico documento da lui inventato per ringraziare tutti coloro che avevano militato nei parà della RSI, con la sua firma autografa ed un sigillo a rilievo di convalida ufficiale; inventò la medaglia commemorativa, che surrogava la croce di guerra spettante di diritto a tutti i combattenti, ma negata ai paracadutisti della RSI.
    Seppe anche dimostrare doti artistiche quale «fabbricatore di ferri», trasformando vecchie serrature e chiavi ormai in disuso in palpitanti oggetti creati dalla sua straordinaria e sconfinata fantasia.
    Uomo di grande sensibilità culturale, riuscì ad appropriarsi poeticamente di una realtà materica, silenziosa testimone di arcani passati, per tradurla in ammirevoli composizioni d'arte. Una poliedrica personalità, Edoardo Sala, un uomo che noi assumiamo ad esempio di una vita meravigliosa.
    Non ti dimenticheremo, Comandante.
 
 
L'ULTIMA CROCIATA N. 1 Gen-Feb 1999 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

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